L’ultima frontiera dei traffici illeciti di rifiuti, mascherati sotto improbabili attività di riciclaggio, riguarda il mercato dei computer. Molte associazioni ambientaliste americane, in uno studio ripreso dal New York Times e in Italia da La Repubblica, sostengono che circa l’80% del materiale elettronico di scarto raccolto negli Stati Uniti (contenente sostanze pericolose, come il mercurio, il cromo e il cadmio) verrebbe normalmente imbarcato e spedito, via mare, in Pakistan, India e Cina. In questi Paesi esiste una vera e propria “industria” diffusa di riciclaggio che, in realtà, svolge una vera e propria attività di smaltimento di rifiuti, anche pericolosi, senza alcuna precauzione. Infatti, molti controlli effettuati su campioni prelevati nelle acque dai fiumi che scorrono nelle aree del “riciclaggio”, hanno rivelato la preoccupante presenza di metalli pesanti, comunemente utilizzati nella produzione di computer,.
Oggi è la Cina la nuova “frontiera” di queste attività: dai porti italiani, centinaia di navi mercantili carichi di tonnellate di residui plastici, ammassate a valle di un processo di selezione di rifiuti urbani, partono ogni anno diretti verso quello di Hong Kong.
Rifiuti che vanno e rifiuti che tornano. Come quelli riportati in Italia dagli attivisti di Greenpeace: due bidoni di rifiuti tossici, gettati nel Mar Nero insieme ad altre migliaia di fusti, ben 15 anni fa. Si tratta di idrocarburi, composti organici del cloro e metalli pesanti, un cocktail di veleni proveniente da piccole aziende italiane, tra cui imprese di lavaggio a secco. I bidoni sono stati poi consegnati al Ministero dell'ambiente. Il rapporto di Greenpeace illustra tutti i dettagli della vicenda: i nomi delle aziende implicate, le navi utilizzate per il trasporto, le autorità responsabili. Due ditte italiane di smaltimento dei rifiuti erano state incaricate di raccogliere e trasportare i rifiuti in Romania, per avviarli allo smaltimento. I barili furono invece prelevati dal porto di Sulina e gettati in mare: probabilmente buona parte del carico rimane tuttora sui fondali del Mar Nero. Solo 367 barili sono stati trovati sulle spiagge del nord della Turchia e sono stati depositati a Sinop e Samsun.
Altri rifiuti, questa volta prodotti all’estero, vengono fortunatamente respinti alle frontiere. Secondo l’Agenzia delle dogane, sono centinaia di migliaia le tonnellate di rottami metallici (ferro, acciaio, alluminio, rame e ottone) contaminanti radioattivamente che sono stati individuati al valico stradale di Sant’Andrea e a quello ferroviario di Gorizia: tonnellate di rottami importati utilizzando sia il trasporto su gomma che su rotaia.
Altrettanto preoccupanti sono poi le segnalazioni relative ai traffici di rifiuti pericolosi che investono diversi Paesi africani. Dai dati raccolti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, rilanciati dal Ministero dell’Interno, una significativa quota dei rifiuti prodotti anche nel nostro Paese finisce in Somalia, Malawi, Zaire, Sudan, Eritrea.
(Fonte: Legambiente / Rapporto Ecomafia)
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