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Sito denuclearizzato

10 ottobre 2009

UNA CALABRIA TERRA DI NESSUNO

Per i lettori del blog, pubblico una nota girataci dal professore Piero Greco, Presidente dell’A.S. GRUPPO SUBACQUEO PAOLANO.

Una storia che era stata spesso mormorata, ma mai scritta. Si trattava di questo: un cittadino di Soverato, Fausto Squillacioti, sentito informalmente dal procuratore Porcelli, gli aveva raccontato un episodio terribile. Insieme a suo cugino Augusto, 5 anni prima, se n’era andato a pesca davanti a Calaluna di Montauro; avevano tirato le reti e si erano trovati davanti una palla di fango. L’avevano ributtata in mare, ma appena l’avevano toccata avevano sentito un forte bruciore alle mani, gli occhi avevano preso a lacrimare e avevano avvertito un forte prurito. Chissà che cos’era quella palla di fango... Poi era successo che Augusto si era ammalato di leucemia mieloide ed era morto. Anche Fausto contrasse la stessa malattia, curata con un trapianto di midollo. Il procuratore Porcelli raccolse poi un’altra testimonianza, quella dell’ingegnere Salvatore Colosimo. Questi, nel 1993, aveva visto sulla spiaggia di Copanello dei fusti gialli buttati a riva del mare. Poi erano arrivati due grandi battelli di cui l’ingegnere aveva visto i nomi - Isola Gialla e Corona - da cui erano scesi alcuni uomini che avevano portato via i fusti spiaggiati: fu un’operazione professionale, condotta da tecnici che indossavano tute bianche. I battelli appartenevano alla «Castalia», una ditta dell’Iri che si occupa dello smaltimento dei rifiuti nucleari.
I fatti - se fatti erano e non il frutto di esagerazione o malignità - portavano a questa conclusione: i fusti finiti sulla spiaggia e quella palla di fango che bruciava appartenevano a un’unica catena di eventi: una nave che li trasportava aveva fatto naufragio, un fusto almeno si era rotto liberando nel mare il suo contenuto, la palla di fango che dava bruciore e prurito; gli altri fusti erano arrivati a riva ed erano stati portati via da tecnici specializzati in rifiuti radioattivi. E infine, ci doveva essere qualcosa di veramente grave se ben otto procuratori (quelli di Catanzaro, matera, Locri, Palmi, Reggio Calabria, Napoli, Crotone, Vibo Valentia) avevano deciso di coordinare il lavoro sul traffico illegale di rifiuti radioattivi nel Sud Italia e se indagavano sugli strani naufragi di ben ventitré navi nelle acque dello Ionio e del Basso Tirreno. La storia dei rifiuti, per quanto mi è stato possibile ricostruirla, in Calabria si svolge tra terra e mare. In terra la Calabria ospita, a pagamento, tonnellate di rifiuti tossici che il Nord opulento produce. In mare sono state fatte affondare navi che, forse, portavano plutonio e uranio. In terra, governano il trasporto delle schifezze mafiosi locali e affaristi di ogni genere. In mare, invece, è un affare di Stato. O meglio, di Stati. Tra terra e mare sono logge massoniche (deviate; naturalmente) a fare da cerniera ai traffici. Sia in terra che in mare i guadagni sono altissimi, tali da rendere il traffico di droga una quisquilia.
La situazione dei rifiuti in Calabria è abbastanza chiara, perlomeno di quelli che arrivano via terra. Qui si scaricano, quasi sempre al di fuori della legge, i rifiuti che il Nord Italia non sa più dove mettere o che trova imbarazzanti. Normalissimi Tir, scendono lungo l’Autostrada del Sole, versano e risalgono. Legambiente, l’organizzazione ecologista che più si è occupata del problema, ha censito 360 discariche abusive. C’è di tutto: cave di ghiaia riempite, grotte, anfratti nella montagna zeppi di pile, pezzi di eternit, solventi, vernici, medicinali scaduti, lastre radiologiche, scarti di sala operatoria, liquami di fabbrica. A Santa Domenica di Talao, in provincia di Cosenza, per esempio, si è scoperto in una fornace il deposito di tutti i rifiuti delle Usl delle Marche. Poi ci sono i rifiuti radioattivi, sempre trasportati da Tir, che salgono in colonna le strade per l’Aspromonte. Qui la provenienza è più vasta: Nord Europa. Fusti che contengono chissà cosa, abbandonati in montagna, malamente nascosti oppure anche depositati vicino a casolari, in mezzo alle pecore. E infine ci sono i centri gestiti dallo Stato, per esempio quello Enea di Rotondella, provincia di Matera, dove in una piscina all’aperto giacciono barre di plutonio inglesi e americane che fanno di questo luogo la nostra piccola Cernobyl.
Notizie di quotidiani a tiratura nazionale,a presto speriamo con notizie migliori, Piero.