Il 25 aprile rappresenta un giorno fondamentale per la storia italiana. In questa giornata si ricorda l’anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste tedesche e contro i loro fiancheggiatori fascisti della Repubblica Sociale.
Il 25 aprile del 1945 segna il culmine del risveglio della coscienza nazionale e civile italiana impegnata nella riscossa contro gli invasori e come momento di riscatto morale di una importante parte della popolazione italiana dopo il ventennio di dittatura fascista.
È solo grazie al sacrificio di tanti giovani partigiani che, pur appartenendo ad un ampio ed eterogeneo raggruppamento, si ottenne la liberazione dell’Italia dalla dittatura. La resistenza partigiana antifascista, combattendo al fianco dei soldati Alleati, riscattò l’onore e la dignità del nostro Paese aprendo una nuova era di Pace.
Il ricordo del compianto Enzo Biagi sul 25 aprile nell’era berlusconiana.
Ho raccontato più volte che il periodo della mia vita di cui vado fiero non è stato quando facevo il direttore e neanche quando mi premiavano per il mio lavoro, ma sono stati i quattro mesi in cui ho fatto il partigiano.
Il 25 aprile del 2005 a Milano, la città medaglia d’oro per la Resistenza, che ha dato con il suo circondario, per la Liberazione oltre 4000 caduti tra i quali 2525 partigiani, in occasione del sessantesimo anniversario, c’è stata una grande manifestazione, oserei dire una grande festa, con la presenza del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. C’era anche il senatore Arrigo Boldrini, comandante Bulow, medaglia d’oro al valor militare. Nel suo breve discorso ci sono due frasi che interpretano il significato del giorno del ricordo: “L’antifascismo e la sua unità riscattarono la nazione dal male assoluto che l’aveva colpita e soggiogata determinando il percorso della rinascita sancito nella Costituzione del 1948. La nuova Italia, nata dalla tragedia della guerra mondiale, provocata dalle dittature nazifasciste, trova le sue radici nel sacrificio di quei combattenti e di tutti i perseguitati, torturati, sterminati nei campi di concentramento e nelle carceri di regime.” Sottoscrivo.
Nei cinque anni di governo del centrodestra, mai una volta Silvio Berlusconi si è fatto vedere in piazza il 25 aprile, mai una parola dedicata agli antifascisti, d’altra parte governare con gli eredi di Mussolini ha un prezzo che si deve pagare. Comunque, il Cavaliere, in piedi sul palco a Milano in piazza del Duomo, al fianco di partigiani come Ciampi, Boldrini e poi Tina Anselmi, Oscar Luigi Scalfaro, […] Giorgio Bocca […] e i compianti Luigi Pintor e Aldo Aniasi, sarebbe stato ridicolo nonostante il ruolo istituzionale.
Ho scritto spesso della guerra partigiana, della Liberazione e ho raccontato storie di donne con un coraggio da leone che hanno sfidato fascisti e nazisti. Una era Irma, figlia di una famiglia benestante, allegra, generosa, mai un eccesso, sempre molto ubbidiente. Era cresciuta coltivando ideali democratici, studiava all’università. Quando l’Italia entrò in guerra poteva sfollare come fecero in tanti in attesa della fine del conflitto. Lei no, rimase e cominciò a frequentare gli ambienti antifascisti e dopo l’8 settembre ’43, quando bisognava decidere da che parte stare, lei scelse quella della libertà, della giustizia sociale, di lottare contro i nazisti che occupavano l’Italia e contro i fascisti che li aiutavano a tenerla occupata. Andò con i partigiani entrando in un Gap[1] di Bologna. Fu staffetta e combattente, portava ordini, armi, informazioni e l’unica difesa era l’astuzia. Le istruzioni erano quelle di non far conoscere a nessuno il suo lavoro. “La famiglia, gli amici, devono pensare che svolgi una regolare professione”, le aveva ordinato il comandante, “devi avere sempre pronta una giustificazione nel caso che fossi fermata lungo il tragitto e soprattutto, se ti catturano, non parlare mai e non rivelare i nomi dei compagni.” È quello che fece Irma, anzi Mimma, questo fu il suo nome da partigiana. Non parlò per sette giorni nonostante le sevizie e le violenze dei nazifascisti.
Poi il 14 agosto, ancora viva, fu portata sotto la casa dei genitori e quel fascista grande e grosso che non riusciva a farle aprire la bocca neanche per un gemito, guardandola per l’ultima negli occhi, quegli occhi che per sette giorni lo avevano sfidato con disprezzo, le chiese di fare i nomi dei partigiani in cambio della vita. In risposta ebbe il suo sorriso, quel sorriso che è in quella foto incorniciata dal filetto dorato sul Sacrario[2] nella piazza di Bologna e che non sarà mai dimenticato. Una raffica di mitra ruppe il silenzio del Meloncello[3], quei colpi echeggiarono per i tre chilometri di portici che arrivano sino alla Basilica di San Luca. Oggi in quel luogo c’è una lapide dedicata a Irma Bandiera: “Il tuo ideale seppe vincere le torture e la morte. […]
In occasione del sessantesimo anniversario della Liberazione, se avessimo avuto la possibilità di fare la televisione, avremmo realizzato uno Speciale il Fatto. Lo avremmo costruito usando la mia voce fuori campo, cercando di far vivere al telespettatore l’avvenimento come se stesse accadendo in quel momento. Non avremmo parlato di quello che è accaduto il 25 aprile, lo abbiamo fatto tante volte e ci sono i telegiornali per questo: il nostro lavoro avrebbe raccontato quello che è successo a partire dal giorno dopo, dal 26 aprile 1945.
Prendendo spunto da un articolo che scrissi tanto tempo fa il titolo del programma poteva essere: “Cronache di un incubo che muore.”
[…]
Sono sempre andato in onda su RaiUno e se mai qualcuno mi dovesse chiedere di tornare, lì dovrebbero stare di casa le mie trasmissioni, anche se in questi anni ho detto a Loris che l’unica rete per la quale avrei lavorato è RaiTre. È quella che mi assomiglia di più. Penso che questo programma si potrebbe ancora fare per la rete diretta da Paolo Ruffini, ma non mi faccio illusioni.
(Enzo Biagi, Quello che non si doveva dire, Milano, 2006)