Proponiamo il bel reportage a firma di Ailvio Messinetti da Corigliano uscito sul Il Manifesto del 19 gennaio 2010 (a pagina 15), che ci è stato segnalato dallìamico Giovanni. .
SCHIAVI DA RACCOLTA
La piana di Sibari è terra di clementine. Le raccolgono i migranti stagionali, sono tre volte di più che a Rosarno. Sopravvivono tra 'ndrine, paghe da fame e un'amministrazione di ultra-destra
La repressione continua. A neanche dieci giorni dalla diaspora degli africani di Rosarno, un'altra brutta pagina di crudeltà e intolleranza viene scritta in Calabria, un tempo terra di accoglienza e di emigrazione, e che, ormai, ha smarrito ineluttabilmente il senso della propria storia.
Benvenuti a Corigliano, il paese delle clementine. È nella pianura di Sibari, infatti, che nasce e si sviluppa questo frutto assai simile al mandarino ma caratterizzato dall'assenza di semi. La pianta è suscettibile agli sbalzi di temperatura. E si ha una sola raccolta annuale, tra novembre e gennaio. Sembra che i primi ibridi di clementine siano stati ottenuti in Algeria agli inizi del novecento. Secondo alcune fonti l'incrocio sarebbe stato fatto casualmente, intorno al 1930, da un certo padre Clement Rodier del Convento di Missegin, nei pressi di Orano.
Sta di fatto che il legame tra questo frutto e le popolazioni del mediterraneo è rimasto intatto negli anni. Anche perché a occuparsi della raccolta sono migliaia di africani, maghrebini e subsahariani in prevalenza, che ogni inverno giungono nella piana per lavorare nei campi. La situazione è drammatica e somiglia maledettamente a quella di Rosarno. Nella sibaritide c'è infatti una concentrazione di immigrati «per tre volte superiore a quella di Rosarno e la situazione è davvero esplosiva dal momento che i migranti vivono in condizioni di estremo degrado in cui sfruttamento e lavoro nero sono le pratiche quotidiane prevalenti» avverte il presidente della Commissione regionale per l'emersione Benedetto Di Iacovo, impegnato in una ricognizione a largo raggio sul fenomeno del sommerso. Dopo i fatti di Rosarno, Di Iacovo sta mettendo a punto un apposito «Piano emersione» che si concretizzerà con la stipula di un patto per la legalità e il contrasto al sommerso con le forze sociali e istituzionali preposte. Secondo uno studio dell'Associazione Torre del Cupo, organizzazione dedita al fenomeno dei migranti che operano nella Piana di Sibari, si stima che siano oltre 12mila i migranti che vivono in queste terre a ridosso dello Ionio, la maggior parte dei quali «invisibili», cioè manodopera stagionale non censita e irregolare.
Immigrati di diversa nazionalità, schiavizzati come i migranti di Rosarno, si accampano nelle tendopoli vicino al Porto oppure in rifugi di fortuna magari ammassati in edifici fatiscenti che somigliano a topaie. A quelli più fortunati, si fa per dire, capita di essere ospitati in case di villeggiatura sfitte d'inverno, da Schiavonea a Sibari, passando per Rossano, lungo i venti chilometri di costa battuti da questi «schiavi delle clementine».
La destra locale, da pochi mesi insediatasi a capo di questo paesone di 40mila abitanti, cavalca il malessere e il vento xenofobo che soffia in Italia. A partire dalla sindachessa Pasqualina Straface, Pdl, che come già riportato dal manifesto, ha emanato il mese scorso un'ordinanza anti immigrati, tesa a impedire l'affitto di case agli stranieri e, soprattutto, a monitorare la presenza di migranti nel territorio coriglianese in quanto d'ora in poi chi vorrà spostare la residenza a Corigliano o prendere casa in affitto dovrà renderne conto al Comune. E mentre è ancora calda la ferita di Rosarno, la sindachessa non ci ha pensato due volte e domenica scorsa, nottetempo, ha sgomberato due baraccopoli. Demoliti casolari e accampamenti, là dove soggiornavano 40 immigrati. «Occorre ripristinare la legalità» ha commentato Straface. Ora in un territorio dove le 'ndrine, quella dei Forastefano su tutte, spadroneggiano, parlare di legalità da «ristabilire attraverso il pugno di ferro contro i migranti» suona un po' grottesco. In una zona dove, a detta del sociologo ed esperto di criminalità organizzata Pino Arlacchi, il mercato del lavoro è completamente in mano alle cosche e la mafia dell'Alto Ionio cosentino svolge le funzioni di ufficio di collocamento e distribuisce posti di lavoro che si trasformano in vitalizi perenni. A cui, ovviamente, si aggiunge il traffico di manodopera migrante, vessata e schiavizzata, in nero, senza contributi versati, senza pensione, né medico e per pochi soldi. E quando arriva la stagione agrumicola, che peraltro coincide con quella olivicola, il fabbisogno di manodopera aumenta in modo considerevole tanto che il numero di stagionali arriva a superare, appunto, le 12 mila unità. Metà di essi sono invisibili, non registrati: 6mila braccianti che vagano come fantasmi in questi gironi danteschi dello sfruttamento e del sommerso.
Ovunque vi siano agrumeti nella pianura calabrese, il copione è lo stesso di Rosarno. Presenza massiccia di braccia, anche femminili in questo caso, condizioni igieniche zero, dignità umana annullata, poco cibo ma tanta fatica. Sfruttati e umiliati per pochi euro al giorno a cui va aggiunto il pizzo da pagare al caporale di turno. All'alba di ogni giorno, infatti, i furgoni dei caporali fanno il giro della sibaritide per prelevare il popolo invisibile. A Schiavonea, borgo marinaro di Corigliano, nello spazio antistante la chiesa e nei pressi del Quadrato «Compagna» e a Sibari nel piazzale della stazione e nei pressi dei residence di Marina. Per poi essere scaricati nei campi dove, fino al tramonto, sono impegnati nella raccolta dei frutti simbolo dello sviluppo di queste aree.
Come a Rosarno, anche qui tutti sanno ma nessuno interviene. E nessuno vigila. Tutto scorre come se nulla fosse. Le associazioni di volontariato fanno ciò che possono in un'area dove regna sovrana l'indifferenza e la complicità omertosa. Meglio tacere allora, per non spezzare il fragile filo della convivenza civile. Che di civile non ha niente.
Benvenuti a Corigliano, il paese delle clementine, e di Gennaro «Ringhio» Gattuso, il calciatore della Nazionale, quello che vota Lega perché dice: «Non se ne può più».
Fonte: di Silvio Messinetti - Il Manifesto del 19 gennaio 2010
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